Lettere

Periodico comunale: come la mettiamo con la legge 150?

Ormai, dicono a Bellaria, il gioco è scoperto. La nuova linea editoriale della pubblicazione “La Città di Bellaria Igea Marina” non serve per consentire “una maggiore vicinanza fra amministrazione e cittadino” ma è un atto, surrettizio, per togliere la parola all’opposizione presente in Consiglio Comunale.
Il sindaco giustifica la singolare decisione con la necessità di “informare… sui servizi e le opere che vengono programmati-progettati-eseguiti-gestiti”. Giusto, dico io; ma cosa c’entra tutto questo con la soppressione delle cosiddette “pagine autogestite” dall’opposizione consigliare?
Qui, sia chiaro, non si vogliono erigere barricate a difesa delle pagine autogestite, anche se restano lo strumento privilegiato per comunicare ai cittadini soprattutto quando non si ravvisa alcuna distinzione tra editore e direttore.
Ma la questione è ben più seria. Vige infatti una legge che regola la comunicazione per gli enti pubblici; si tratta della legge n.150 del 7.6.2000 con il relativo regolamento attuativo per quanto riguarda il riconoscimento professionale del comunicatore pubblico, che disciplina l’informazione ai mass media, la comunicazione verso i cittadini e quella interna all’ente.
Per garantire la trasparenza e l’efficacia dell’azione amministrativa, principi che la legge afferma di voler attuare, sarebbe dunque necessario approntare almeno tre strutture: una per la comunicazione verso l’esterno, una per quella interna e l’ufficio stampa.
Adesso qualcuno spieghi perché il pur giusto obiettivo indicato dal Sindaco non viene perseguito con la piena attuazione della legge n.150 per la quale, ovviamente, è amministratore anche chi svolge il ruolo di opposizione, titolare del medesimo diritto-dovere di informare i cittadini riconosciuto al Sindaco ed agli assessori. E per favore non mi si venga a raccontare ancora la storia del decreto taglia spese del governo la cui incidenza sul nostro bilancio è del tutto insignificante.
Dunque il disegno è chiaro: poiché la notizia asettica è una finzione, si vuole - di fatto - parlare ai cittadini con una sola voce trasmettendo loro un solo messaggio politico, quello inscindibilmente racchiuso nelle comunicazioni sull’operato del sindaco e degli assessori. Ma tutto questo con denaro pubblico!
Primo Fonti, consigliere comunale (Lista della Città)

Quando l’amministrazione comunale dice che ha tutto il diritto, ed anzi il dovere, di fare comunicazione, dice una cosa vera. Ma cosa intende la legge, che lei giustamente cita, con questo termine? Questo: “Illustrare le attività delle istituzioni e il loro funzionamento; favorire l’accesso ai servizi pubblici, promuovendone la conoscenza; promuovere conoscenze allargate e approfondite su temi di rilevante interesse pubblico e sociale; favorire processi interni di semplificazione delle procedure e di modernizzazione degli apparati nonchè la conoscenza dell’avvio e del percorso dei procedimenti amministrativi; promuovere l’immagine delle amministrazioni, nonché quella dell’Italia, in Europa e nel mondo, conferendo conoscenza e visibilità ad eventi d’importanza locale, regionale, nazionale ed internazionale”. Invece in Comune si confonde la comunicazione con la propaganda. E chi ama la propaganda di solito non gradisce essere messo in discussione, per cui anche le pagine dell’opposizione diventano una spina nel fianco. Le consiglio, al riguardo, di leggere anche l’interessante parere del capogruppo Ds in Consiglio (che trova qui a fianco). A mio giudizio non sbaglia quando sottolinea che il sindaco è molto interessato a “controllare” la maggioranza. Aggiungo io: per fare il gallo nel pollaio. Più elegantemente: si è convinto di poter passare alla storia come sindaco di Bellaria Igea Marina.
Tutto il resto, intendo le molte dichiarazioni del sindaco e del suo neodirettore fatte in questi giorni, sono aria fritta. Le assicuro che nei cinque anni passati io avrei voluto “spoliticizzare” La Città e liberarla un po’ dall’invadenza del sindaco, ma è stata una guerra. E’ stato lui, e non certo io, ad imporre che in ogni numero comparissero due pagine di scennapensiero, cioè di politichese e propaganda allo stato puro. Tagli di nastro in abbondanza: un’imposizione che nella gestione precedente (quella Lazzarini) non avevo avuto. E così, alla fine, ho scelto di togliere il disturbo dalla corte di Gianni Scenna. Non è vero, come fanno scrivere a qualche giornalista compiacente, che mi avrebbe sollevato dall’incarico: c’è una mia lettera agli atti nella quale comunico di non essere più interessato a quel posto. Oggi leggo che il nuovo corso “porrà al centro il cittadino”. Evviva. Se il sindaco lo farà veramente vorrà dire che, anche se in ritardo, l’ha capita. Se non lo farà gli diremo che è un ballista.

Claudio Monti

L’Isola dei Platani ieri, oggi, domani

Nell’ottobre del 1986, quando iniziarono i lavori del secondo tratto dell’Isola dei Platani, quello che dall’incrocio di viale P. Guidi con viale G. Pascoli va fino alla stazione ferroviaria, volli manifestare il mio apprezzamento verso una iniziativa che giudicavo utile per il paese scrivendo il seguente articolo che il “Resto del Carlino” dell’epoca ebbe la cortesia di pubblicare: “C’era, un tempo, un piccolo paese che, a vederlo, pareva il paese delle fiabe e, a viverlo, ti infondeva una sensazione profonda di pace e di serenità. Ricordo i viali ombrosi e la macchia di pini secolari che, insieme alle dune di sabbia, sbarravano l’accesso al mare. Dovevi percorrere piccoli sentieri erbosi tracciati tra i pini e superare quei monti sabbiosi per giungere al mare che, finalmente, ti appariva dinnanzi nella sua verde immensità.
Se porgevi l’ascolto, potevi anche sentire il sommesso mormorio dell’onda che, spumeggiando, si frangeva e rifrangeva con moto perpetuo contro la bianca riva. Ricordo le notti insonni trascorse nell’attesa del levarsi del sole e il rosso colore che, al sorgere di quello, ammantava di luce misteriosa il risveglio della natura.
Quel paese era fatto di piccole linde case di pescatori e di rare ville nascoste tra i pini odorosi, testimonianza di un gusto di vita. Ricordo il canto dei pescatori, sul far della sera al ritorno dalla pesca, che si impregnava del fragrante odore del pesce cotto sulle braci e della piadina appena fatta con cui le spose preparavano la parca cena. E ricordo i fremiti del primo amore che qui nacque, per cui provai gioia e dolore. Quel paese, ahimé, il progresso distrusse un brutto giorno. La speculazione dell’uomo ha trasformato tanta natura in “business”, in arida fonte di guadagno: dove erano i pini ora sorgono mostri di cemento, senz’anima. Sono sparite le belle ville di un tempo e le ultime casette di pescatori sopravvissute, guardano attonite quegli anonimi giganti da cui sono intimidite e soffocate.
La brezza del mare non trascorre più le fronde dei pini; il sole staglia freddi spettri marmorei all’albeggiare; il cuore del mio paese sembra inaridito.
Di converso tutti sono diventati più ricchi, per via del “business” e, con la ricchezza, sono sopraggiunte la supponenza, la presunzione e l’indifferenza. C’è, oggi, un governo cittadino che pare sensibile al richiamo della dimensione antica, più umana, che ha rivolto un appello ai cittadini affinché concorrano a fare riconquistare al paese lo splendore perduto.
Per il vero parte di quei cittadini hanno raccolto l’appello ed è nata, così, l’Isola dei Platani che rappresenta la concreta proposta per rifare un paese più vero e più vivibile. Ora tocca agli altri offrire il proprio sostegno affinché l’opera sia completata.
Cara “Isola”, in te mi pare già di ritrovare i luoghi cari della mia giovinezza; mi par di riudire i canti dei pescatori che ritornano al loro casolare; mi par di sentire il leggero soffio della brezza accarezzare le foglie dei platani. Compaesani ancora incerti scalfite la scorza degli interessi più materiali che imprigiona i vostri cuori ed apriteli al nuovo afflato. Raccogliamo la sfida morale e culturale che i tempi c’impongono e facciamo bello il nostro piccolo paese, onde poterlo amare ancora di più”.
Sono trascorsi molti anni da allora nel corso dei quali l’originale bellezza della nostra “Isola” è andata inesorabilmente sfiorendo a causa non soltanto dell’usura del tempo, ma anche della nostra colpevole trascuratezza. Ancorché tardivamente, ci siamo finalmente accorti del suo insopportabile degrado ed avvertiamo impellente il bisogno di ridare lustro al “salotto buono” della città.
Un insperato rigurgito di buon senso sollecita tutti a fare la propria parte: l’amministrazione comunale, per ripristinare le condizioni ambientali affinché l’ “Isola” ritorni ad essere luogo di incontro e di aggregazione sociale; gli operatori economici, per dare nuovo impulso alle loro attività; i bellariesi-igeani, per vivere la città e contribuire al suo sviluppo. Facciamo tuttavia attenzione a che l’opera che ne scaturirà non generi un mostro che ingoi l’oasi di pace ed il gusto di vita che tutti cerchiamo.
Alfonso Vasini