Le pennellate di Armido

Parla della Cagnona, della Bellaria palazzinara e del suo porto. Ce l’ha con la mania di evocare le “sinergie”. E un po’ con l’Alta Marea. Il pittore Della Bartola, più tagliente che mai.

di Elisabetta Santandrea


“Sono un bellariese honoris causa!” Così Armido Della Bartola, sanmaurese di nascita e riminese d’adozione, scherza sulla sua pluridecennale presenza in quel di Bellaria, in un appartamento acquistato “al tempo dei menestrelli – ironizza – quando cioè la gente comperava i quadri”, e dal quale si gode, diciamo, la vista del porto, quel porto di cui egli ha evidenziato la trasformazione, catturandolo tante volte sulle sue tele.
Pittore per passione e professione, istrionico, graffiante e schietto nei suoi giudizi sulle cose e le persone, Della Bartola è artista noto e apprezzato, celebrato recentemente da un gruppo di affezionati amici in una mostra antologica intitolata “Una vita a colori”, chiusa il 2 novembre scorso in quel di San Leo, ospitata nelle sale del palazzo Mediceo. “Un caso strano – dice lui – visto che in una recente occasione pubblica presso il cinema Fulgor, Nando Fabbri aveva promesso a gran voce una mia mostra antologica. Ed è stato infine preceduto da questo gruppo di amici che ha voluto celebrarmi non solo fuori città, ma addirittura fuori regione”. Un’esclusiva mancata per l’autorità istituzionalmente preposta, ma Armido si affretta a precisare che la mostra di San Leo mica è iniziativa sua, e che di quadri non ancora esposti ne ha da parte per l’occasione paventata da Fabbri, nel suo studio di viale Cormons a Marina centro. Insomma, Fabbri non ha perso l’occasione, è solo che arriva secondo.
Ascoltare Armido che ricorda e traccia ritratti del mondo che lo circonda è come farsi un ripasso di storia contemporanea: con la sua vita ha attraversato gli eventi più importanti e tragici dell’ultimo secolo, quando “la miseria si tagliava a fette” e si faceva la guerra anche se non la si voleva. Tutto questo, filtrato e ‘protetto’ da quello spirito popolare e strapaesano che aiuta a rendere meno tragiche, più lievi anche le cose peggiori, riconducendoci a una realistica razionalità. “Come il dialetto – sottolinea – con il quale si riescono a chiarire molto meglio certi concetti”. Ma certi concetti Armido li esprime benissimo anche in italiano, creando quadri di una Bellaria che lo ospita fatti di pennellate colorite, più che colorate.

I “cagnonari” sanmauresi
“Come si sa io sono originario di San Mauro Pascoli, e posso dire che buona parte dei bellariesi cagnonari sono per così dire “inquinati” da famiglie originarie di San Mauro, come ad esempio i Capanni, i Pasquòin in dialetto. La Cagnona manteneva un contatto molto stretto con San Mauro; questo valeva anche per le tendenze politiche: erano quasi tutti di sinistra, strano!”. Perché strano? “Ma perché erano tutti molto inquadrati, ma ad esempio i sanmauresi poi si vantavano di essere battezzati e sposati in chiesa. Ad ogni modo, l’Italia è una nazione strana ed è anche vero che dopo il passaggio del fronte eravamo tutti socialisti, avevamo bisogno di tirare il fiato, di ricostruire le nostre case”. E a proposito di costruire case: “Poi qui, venendo giù dalla Cagnona, lavorare in nero è diventata la cosa più facile del mondo: ha aiutato a fare i milioni e delle ville che non finiscono più; si costruisce in maniera meravigliosa”. Bene, a questo poeta del pennello la storia ha insegnato che siamo un paese di autentici palazzinari. E cosa altro ancora? “Che qui si parla di sinergie a sproposito. Il rappresentante dei comunisti bellariesi (parola di Armido: la sigla è cambiata ma la scuola è sempre quella, ndr.) parla di sinergie. Io dico: nel 1956 Bellaria diventa un comune autonomo e si stacca dall’amministrazione riminese. Questo è stato un bene o un male? I politici parlano di sinergie, ma in realtà questa sinergia è stata interrotta già con l’autonomia, secondo la logica del ‘popolino’, per il quale “chi fa da sé fa per tre”. E’ la logica di chi non guarda oltre ai sentimenti strapaesani tipici di queste zone.

Almeno salviamo il porto
Bellaria con lo sviluppo è diventata una cittadina forse ordinata, anche se non troppo mi sembra, ma mi chiedo dove stia in ogni caso la sinergia, visto che spesso ho sentito gente di Igea lamentarsi dell’andamento delle cose. E allora, quale sinergia c’è fra Bellaria e Igea Marina?” Della Bartola, almeno salviamo il porto. E’ il centro del più antico mestiere del paese: cosa è rimasto di positivo? “E’ tutto cambiato. Ricordo quando il porto era solo la foce dell’Uso, dove correvano da una parte all’altra dei topi grossi come gatti. Il tempo ha portato in seguito solo una confusione infernale, invivibile dal punto di vista del traffico. Più intenso in estate, quando si trasforma in un vero casino, e la presenza di vigili non è mai adeguata. Poi arrivano le festività, e qui sul porto è un buio pesto. Sono differenze che si notano. Almeno fosse rimasto quel senso di ricettività, quel saper fare che è la condizione indispensabile per fare un buon turismo”. Insomma qualcosa di buono non c’è proprio rimasto. “Racconto questo episodio – riprende Armido – conscio di dare così una botta finale: “Quando ha aperto il centro sociale Alta Marea mi sono tesserato e ho regalato per l’inaugurazione, presente anche Nando Fabbri, una mia litografia in cornice. Dopo un anno circa, io e mia moglie andiamo a prendere un caffè e chiedo: “Non c’era anche un Della Bartola qui?” Mi è stato risposto “Ma no…forse, di là nello stanzino”. L’avevano messo in uno stanzino sgombero. Sa, non lo dico mica per la litografia. Ma almeno la cornice, quella un po’ è costata!”