“Io la gente l'ascoltavo”

Uno dei primi amministratori comunali della città spiega perché ha perso la voglia di andare in Comune. Racconta gli inizi, le battaglie per l'autonomia e l'unità che il paese visse in quegli anni. Intervista a Odo Fantini.


“Io non vado praticamente più in Comune e come me altra gente. Perché ormai manca il rapporto fra amministratori comunali e cittadini. Se un cittadino va dal sindaco o da un assessore e gli sottopone un problema, non vuole sentirsi dire: “Parlane con il funzionario o il dirigente”. Perché il cittadino ha eletto l'assessore e il sindaco e le vuole da loro le risposte, non dal funzionario. E poi i funzionari a chi rispondono? Tanto non li manda via nessuno”. Chi parla è Odo Fantini, più volte sindaco e assessore del Comune di Bellaria Igea Marina. Lui il Comune ha contribuito a metterlo in piedi ottenendo l'autonomia da Rimini. “Io facevo il fornaio, lavoravo tutta la notte, in consiglio comunale guardavo sempre l'orologio e a una certa ora dovevo scappare per tornare a casa a fare il pane. Mi davano 500 lire al mese per fare il sindaco, ma alle 8 del mattino ero sempre in Comune e quando arrivavo tardi era perché ero stato in giro a parlare con la gente. E soprattutto andavo a cercare i più disgraziati”, dice Fantini. “In noi la gente vedeva una mano tesa, tutti sapevano chi erano il sindaco e gli assessori, adesso molti cittadini non lo sanno. E sa perché? Perché noi eravamo la gente, amministratori solo per servizio. Il bilancio comunale iniziavamo a discuterlo in agosto, ne parlavamo nel partito e fuori, con la base. Adesso questo rapporto è finito: chi lo fa il bilancio? Qualche tecnico e pochi amministratori. Quando mi hanno chiesto di fare il sindaco ho risposto: “Non sono capace, io faccio il fornaio e ho la quinta elementare.” Un funzionario del partito di Bologna, mi ha risposto così: “Per fare il sindaco bisogna avere due cose: l'onestà e il buon senso. Ci sono gli impiegati che mandano avanti gli uffici, non tu”. E allora ho accettato.”
E qual è stata la prima preoccupazione ai vostri tempi? La prima battaglia politica.
Quella per l'autonomia del nostro Comune da Rimini. Il Pci di Bellaria ci ha creduto fino in fondo, scontrandosi col partito di Rimini. La divergenza era solo politica: con l'autonomia, Rimini avrebbe perso i voti di Bellaria che in quel periodo erano determinanti per ottenere la maggioranza al Comune di Rimini. I compagni di Rimini ci dicevano: “E' meglio avere un Comune come Rimini nelle nostre mani che non Bellaria, che non conta niente”. Avemmo tutti contro, a partire da Walter Ceccaroni (più volte sindaco del Comune di Rimini, ndr). Per questo decidemmo di fare intervenire i grossi calibri del partito: con una rappresentanza dei comunisti di Bellaria e di Rimini andammo a Forlì per una riunione alla quale partecipò anche Nenni (per il Psi), oltre al segretario regionale del mio partito, Roasio.
E cosa accadde?
Io dissi: “State a sentire: quando sono entrato nel Pci voi mi avete insegnato che i comunisti devono essere sempre alla testa delle rivendicazioni del popolo. A Bellaria il popolo vuole l'autonomia”. Nenni e Roasio mi diedero ragione, ma l'unica cosa che riuscimmo ad ottenere fu una sospensione della decisione fino alle elezioni amministrative: non ci dissero né sì né no. Si sarebbe deciso poi.
E invece?
Abbiamo avuto la fortuna che al posto di Ceccaroni (sospeso con decreto prefettizio nel 1954, ndr) arrivò il commissario straordinario Renato Schiavo, che sciolse il consiglio comunale di Rimini. E il primo atto che fece fu di concedere l'autonomia a Bellaria, che arrivò con decreto del presidente della Repubblica del 17 febbraio 1956 (e in effetti l'autonomia costò cara al Pci di Rimini perché alle elezioni comunali del 27 maggio 1956 il Pci-Psi ottenne 20 consiglieri e 20 andarono anche al blocco avversario: la parità numerica non consentì la formazione della giunta, ndr).
Quindi l'autonomia è stata in parte anche un regalo del commissario.
In parte sì. E' vero che c'era l'impegno del Pci riminese ma non so se l'avrebbe mantenuto, ci sarebbe stato da discutere.
La battaglia per l'autonomia vi trovò tutti uniti.
Avevamo fatto un comitato promotore, messo insieme senza guardare ai partiti, coinvolgendo le persone più rappresentative e stimate nel paese: gente di Bordonchio, Igea, Bellaria. Nessun comunista è stato mai presidente del Comitato. Non è stato difficile fare questo perché venivamo da un'ottima esperienza di grande unità all'interno del Comitato di liberazione.
In quel periodo in cui pure c'erano divisioni ideologiche forti c'era unità, perché?
Perché l'obiettivo era unico, veramente. Non come adesso: tutti dicono di lavorare per lo stesso obiettivo ma in realtà ognuno va per conto suo. Allora lavoravamo tutti per realizzare l'autonomia comunale.
Quando sono nati i problemi e le divisioni?
Fino alle prime elezioni siamo rimasti uniti. Tanto che si ventilò l'idea di fare una lista unica, non dei partiti ma dei cittadini. Si salvi chi può: il Pci e la Dc di Rimini si opposero risolutamente. E da lì sono nati i problemi fra i partiti, gli scontri, ma non c'è mai stata cattiveria e durezza fra le opposte fazioni. C'è sempre stata una base di rispetto reciproco, amici comunque. In consiglio comunale battaglie a non finire e alla fine si andava a mangiare la pizza tutti assieme. Voglio raccontarle una cosa che spiega questo aspetto.
Prego.
Per dar vita al Comitato per l'autonomia, fummo costretti a chiedere una serie di consulenze, compresa quella del notaio. Il quale ci chiese dei soldi e all'epoca ce n'erano pochi. Così si decise che ogni membro del Comitato avrebbe messo fuori una quota: ognuno di noi firmò una cambiale alla Cassa di Risparmio. Quando è finito tutto qualcuno non ha pagato, non poveretti ma gente che ha costruito alberghi e che ha fatto i soldi. Nelle campagne elettorali che sono seguite alcuni di questi hanno fatto parte anche di liste avverse alla mia ma io non ho mai tirato fuori quell'episodio. Avrei potuto sbugiardarli, metterli in imbarazzo, ma non l'ho fatto, perché la politica è un'altra cosa. Quelle cambiali ogni tanto le prendo in mano e le guardo: è una soddisfazione personale. Io non sono diventato ricco ma posso guardare tutti a testa alta ed essere in pace con me stesso.
Cosa non le è piaciuto della politica?
I professionisti della politica, i funzionari, non mi sono mai piaciuti.
Eppure il suo partito ne ha avuti parecchi di funzionari.
Troppi. I dirigenti pian piano dalla sezione passavano alla federazione, poi al regionale e al nazionale… In alcuni casi, quando arrivavano a livelli di responsabilità, ci si accorgeva che non valevano. E il difetto che il Pci ha avuto è stato che queste persone non le mandava via, le spostava da un posto all'altro e rimanevano pesi morti… quanti ne abbiamo avuti anche da noi.
A Bellaria è cambiato qualcosa quando sono arrivati i professionisti della politica? Anche Nando Fabbri era un funzionario.
Io avevo già cominciato a farmi da parte in quel periodo. Nando era un decisionista ma in questo ruolo ha avuto dei meriti. La politica è decisione, se sbagli ti giudicherà l'elettorato. Nando è riuscito a sbloccare alcune situazioni che ci trascinavamo da tempo: ha demolito la Pavese, ha realizzato l'Isola dei platani, ... anche se a me non piace.
Davvero?
Sì, preferivo il centro di prima. Quando vado nell'Isola mi viene in mente il viale di una volta, che era sicuramente più bello del nuovo arredo. Sarà che mi ricorda il passato e quindi anche la mia gioventù, ma mi piaceva di più. Infatti non ci vado tanto nell'Isola.
(1 puntata, segue e si conclude sul prossimo numero)